Lago Bolsena

Viaggio nell’Alta Tuscia tra Sapori e Paesaggi Autentici

Visitare il Castello di Torre Alfina può essere un’occasione perfetta per una emozionante visita fuori porta nell’Alta Tuscia. Un’esperienza che continua oltre le mura, là dove Lazio, Toscana e Umbria si incontrano in un territorio in cui l’arte si fonde armoniosamente con la natura. Tra vicoli in pietra di borghi antichi, boschi incantati e tavole imbandite di sapori genuini, ogni passo si trasforma in una piacevole scoperta di tradizioni vive e piccoli tesori che rendono l’Alta Tuscia una terra unica.
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Passeggiare tra i Vicoli e Fermarsi a Gustare

Dopo aver esplorato il castello e respirato l’atmosfera sospesa delle sue sale, il viaggio prosegue nel borgo medievale che lo circonda. Camminare tra le stradine di Torre Alfina è come rallentare il tempo: muri in pietra, balconi fioriti, scorci improvvisi che catturano lo sguardo. Qui le botteghe artigiane propongono formaggi stagionati, salumi dal profumo intenso, pane cotto a legna e dolci che raccontano ricette di famiglia tramandate di generazione in generazione. Il borgo è famoso anche per il farro del Pungolo di Acquapendente, ingrediente antico e versatile, il biscotto di Sant’Antonio e le tipiche “imbriachelle”, ciambelline rustiche da intingere nel vino per chiudere il pasto con un gesto semplice ma carico di tradizione.

Ricette che Raccontano Storie

Sedersi a tavola in queste terre significa assaporare piatti che portano con sé la memoria di chi li ha tramandati. Come l’acquacotta, una zuppa umile ma ricchissima di sapore, preparata con pane raffermo, verdure di campo, patate e un uovo in camicia che lega il tutto con delicatezza. Oppure i lombrichelli, pasta fresca fatta a mano, spessa e ruvida, ideale per trattenere sughi decisi come l’amatriciana o il cacio e pepe. Piatti che parlano di casa, di camini accesi e domeniche in famiglia e che ancora oggi raccontano la storia di una cucina contadina sincera.

Vini che Profumano di Colline

Accanto ai piatti, non possono mancare i vini che rendono speciale questa terra. Un calice di Grechetto, bianco fresco dai sentori fruttati, accompagna perfettamente antipasti e piatti di verdure. Il Ciliegiolo, rosso morbido e leggero, è perfetto con i primi piatti rustici o carni bianche, mentre l’Aleatico di Gradoli, dolce e aromatico, regala il finale perfetto insieme a dolci secchi o formaggi stagionati. Piccole cantine locali offrono degustazioni che diventano incontri autentici con chi coltiva la vite da generazioni, trasformando il vino in racconto.

Luoghi che Incantano nei Dintorni

Il nostro viaggio alla scoperta dell’Alta Tuscia può continuare a pochi passi dal Castello di Torre Alfina, nel Bosco Monumentale del Sasseto. Un luogo quasi magico in cui alberi secolari, massi vulcanici coperti di muschio e sentieri nascosti creano un’atmosfera fiabesca.
Proseguendo verso sud, a circa mezz’ora di macchina, il grazioso borgo di Bolsena accoglie i visitatori con la sua possente Rocca Monaldeschi, che domina il centro storico, e il lago omonimo, il più grande lago vulcanico d’Europa che regala tramonti indimenticabili.
Sulla riva sud ovest del lago, alcuni centri storici custodiscono scorci suggestivi e memorie d’arte. Capodimonte, con la mole del Palazzo Farnese, maestosa opera architettonica voluta dalla nobile famiglia nel XV secolo, regala vicoletti, piazzette e vedute panoramiche sul lago. A soli 3 km, il borgo di Marta, conosciuto anche come il “Borgo dei Pescatori”, racconta la sua storia tra il bel lungolago, la Torre dell’Orologio simbolo del paese, la Chiesa Collegiata dei Santi Biagio e Marta e la suggestiva Grotta delle Apparizioni, luogo di devozione popolare che aggiunge un tocco spirituale a questa passeggiata sul lago.

Un Invito allo Slow Tourism

Una giornata nell’Alta Tuscia diventa così molto più di una visita: è un’esperienza che unisce storia, gusto e paesaggi che restano nel cuore. Tra piatti antichi, vini sinceri, borghi ricchi di fascino e luoghi sospesi tra natura e leggenda, ogni momento racconta qualcosa di questa terra. Basta lasciarsi guidare dalla curiosità e prendersi il tempo di vivere le emozioni. Perché ogni esperienza è un dono da accogliere con i sensi e conservare con l’anima.

 

Il Castello di Torre Alfina Salotto di Personaggi Illustri

Il Castello di Torre Alfina ha attraversato i secoli ospitando le vite di personaggi illustri, diventando custode di storia, arte e cultura. Le sue mura raccontano di epoche lontane, di battaglie e trasformazioni, ma anche di incontri intellettuali e fermenti artistici che ne hanno arricchito il fascino.
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Crocevia Culturale nella Tuscia Viterbese

Verso la fine dell’Ottocento, sotto la guida del marchese Edoardo Cahen d’Anvers e poi di suo figlio Rodolfo, il castello visse una stagione di splendore. La famiglia Cahen, colta e cosmopolita, trasformò la residenza in un vero e proprio crocevia di idee, scambi artistici e produzione culturale. Questo spirito di apertura e mecenatismo ha lasciato tracce ancora visibili tra le mura del castello e nei racconti legati alle figure che lo hanno frequentato.
Ecco alcuni dei personaggi illustri documentati che hanno varcato le porte del castello o vi hanno lasciato un segno indelebile.

Gabriele D’Annunzio: il Vate e il Castello

Il nome di Gabriele D’Annunzio è uno dei più sorprendenti tra quelli legati al Castello di Torre Alfina. Ospite del marchese Rodolfo Cahen, D’Annunzio collaborò con lui alla realizzazione dell’opera teatrale Sogno di un tramonto d’autunno, per la quale scrisse il testo poetico. Rodolfo, mecenate e musicista dilettante, ne curò la composizione musicale.
Il castello custodisce ancora oggi un’imponente affresco di Pietro Ridolfi che rappresenta una scena del Sogno di un tramonto d’autunno, segno tangibile del passaggio del poeta. D’Annunzio dedicò l’opera a Eleonora Duse, il cui ritratto spicca sul soffitto della stessa galleria. La collaborazione con il Vate conferma il ruolo che il castello aveva assunto all’epoca: non solo residenza aristocratica, ma anche fucina artistica.

Matilde Serao: il Volto Femminile della Cultura Italiana

Tra i personaggi illustri legati al castello è Matilde Serao. Fu una delle prime grandi giornaliste italiane e voce di spicco della narrativa realista, una figura centrale nel panorama culturale italiano tra Otto e Novecento. Fondatrice del quotidiano Il Mattino di Napoli (insieme al marito Edoardo Scarfoglio), ospitò spesso articoli e poesie di D’Annunzio, soprattutto nei primi anni di carriera del poeta. D’Annunzio, negli anni ’80 dell’Ottocento, collaborò proprio con Il Mattino e fu influenzato, almeno in parte, da quel clima letterario napoletano che Serao contribuì a creare. Sebbene non si abbiano prove di un suo legame diretto con il castello, un ritratto di Matilde Serao è presente sul soffitto della galleria nobile del castello, affianco a quello di Eleonora Duse, a testimonianza di un legame almeno simbolico o affettivo con la famiglia Cahen e con quel mondo culturale d’élite che il castello rappresentava.

Il Mistero del Romanzo Giallo

Ma non è tutto. Nel 1907 Matilde Serao, definita la madre del giallo partenopeo, pubblica Il delitto di via Chiatamone. Ebbene, via Chiatamone è proprio la strada in cui Edoardo Cahen e la sua famiglia soggiornarono durante il loro periodo napoletano. E ancora: il protagonista del romanzo, il duca di San Luciano, raffigurato sulla copertina dell’edizione originale, ricorda sorprendentemente Rodolfo Cahen. Ma c’è di più. In basso a sinistra sulla copertina del libro si intravede chiaramente l’ipotetico stemma nobiliare del protagonista, un leone rampante che presenta forti somiglianze con lo stemma araldico dei Cahen. Non esistono prove documentali che attestino un rapporto diretto tra Matilde Serao e la famiglia Cahen, ma questi elementi sembrano evocare un legame simbolico, forse affettivo, forse culturale. Più che coincidenze, sono indizi che ci parlano di una frequentazione degli stessi ambienti, di un sentire comune. E forse di un velato omaggio da parte della scrittrice a un mondo aristocratico e intellettuale che aveva sicuramente incrociato.

Pietro Ridolfi: l’Artista Amico

Nel 1906, Pietro Ridolfi, pittore specializzato in tempera murale, fu incaricato da Rodolfo Cahen di decorare alcune stanze del castello. Il rapporto tra Ridolfi e la famiglia Cahen fu più di una semplice collaborazione artistica. Nacque un’amicizia autentica, confermata anche da ricordi tramandati dai familiari del pittore e dall’ottimo rapporto che ancora oggi il castello mantiene con loro.
Durante i periodi di lavoro al castello, Ridolfi dormiva in una stanza degli ospiti del piano nobile, oggi conosciuta come “La Stanza di Ridolfi”. Qui si conserva ancora un quadro della marina, donatoci dalla sua famiglia, e i preziosi bozzetti dei dipinti delle Quattro Stagioni, un ciclo decorativo di straordinaria eleganza che ancora oggi abbellisce la galleria nobile del Castello di Torre Alfina.
Una curiosità riguarda proprio il bozzetto della Primavera: Ridolfi, inizialmente, voleva inserire nell’affresco il mare come simbolo di rinascita e bellezza naturale. Ma Rodolfo Cahen, con il suo spirito razionale e legato al territorio, gli fece notare che il mare non era visibile da Torre Alfina. Ridolfi accettò la modifica, ma non rinunciò del tutto al suo slancio poetico: al posto del mare inserì uno stagno, piccolo ma evocativo, come compromesso tra immaginazione e realtà.

Il Castello di Torre Alfina, grazie alla sensibilità della famiglia Cahen, fu molto più di una dimora nobiliare: fu un luogo dove le arti, le lettere e la musica si incontravano, intrecciando percorsi umani e creativi che ancora oggi risuonano nelle sue stanze. Riscoprire queste presenze significa restituire al castello il suo valore più profondo: quello di luogo vivo, abitato dalle idee, dai sogni e dalle visioni che hanno attraversato un’intera epoca.

Vita di Corte

Vita di Corte al Castello: Come si Viveva nel Medioevo

Durante il Medioevo, un castello non era solo una fortificazione difensiva, ma anche un centro vitale, un microcosmo che rifletteva la società e la cultura dell’epoca. Ogni giorno, tra le robuste mura di un castello medievale, si intrecciavano storie di potere, intrighi e relazioni sociali complesse. Il Castello di Torre Alfina si erge come una testimonianza vivente della vita medievale, con la sua quotidianità fatta di strategie, doveri e momenti di grande fasto.
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Una Tipica Giornata Medievale

Come si viveva nel Medioevo? E, in particolare, come era la vita nei castelli medievali? Il castello si animava all’alba: le campane richiamavano servi e dame alle loro mansioni quotidiane. I cavalieri si esercitavano nel cortile, preparandosi per eventuali battaglie o tornei, mentre le dame sovrintendevano alla gestione della dimora. Il signore del castello, nel frattempo, si occupava dell’amministrazione delle terre e delle questioni politiche.

Nel pomeriggio, il cortile poteva trasformarsi in un’arena per tornei cavallereschi, eventi che non solo divertivano, ma servivano anche a rafforzare alleanze e dimostrare il valore dei cavalieri. Ma non mancavano gli intrighi: i castelli medievali erano anche luoghi di alleanze e conflitti, dove le relazioni politiche e familiari si mescolavano a giochi di potere e astuzia. La giornata culminava di solito con banchetti conviviali, durante i quali si discutevano strategie politiche e si consolidavano legami familiari.

Il Ruolo delle Dame nel Castello

La dama del castello svolgeva un ruolo fondamentale nella gestione quotidiana della dimora e nell’educazione dei figli. Oltre alle mansioni domestiche, le donne erano spesso impegnate nell’amministrazione delle terre, nella gestione delle risorse e nella supervisione della servitù. In assenza del signore, potevano persino assumere la responsabilità della difesa del castello, coordinando la protezione delle mura e garantendo l’approvvigionamento durante eventuali assedi.
Le loro abilità nel ricamo, nella tessitura e nelle arti erano apprezzate, ma anche la loro intelligenza politica poteva fare la differenza in momenti critici. Le dame partecipavano attivamente alle strategie matrimoniali, spesso usate per rafforzare alleanze tra famiglie. Alcune di loro esercitavano una grande influenza negli affari politici, consigliando mariti e figli su questioni di politica e diplomazia.

Cena Medievale: Ricette e Curiosità

La cucina medievale nel Castello di Torre Alfina rifletteva le risorse disponibili nella Tuscia Viterbese. Durante i banchetti, si servivano carni di selvaggina locale, come cinghiale e lepre, accompagnate da salse speziate. Le spezie, spesso importate, erano segno di prestigio e utilizzate per insaporire e conservare i cibi. Il vino, prodotto nelle vicine colline, era la bevanda principale, mentre i dolci, come torte di miele e frutta, rappresentavano un lusso riservato alle occasioni speciali.
Tra le ricette medievali della Tuscia, tramandate e ancora oggi molto diffuse, troviamo l’acquacotta, una zuppa di origine contadina preparata con verdure di stagione, pane raffermo e, talvolta, uova o formaggio. Nella tradizione dolciaria viterbese, si trovano poi i mortarioli, biscotti a base di miele, mandorle e cannella, di origine medievale, apprezzati persino da San Francesco.

Come Si Difendeva il Castello di Torre Alfina

La difesa del Castello di Torre Alfina si basava su mura robuste, torri di avvistamento e un’ubicazione strategica su un’altura. I cavalieri indossavano armature pesanti e utilizzavano spade e lance in battaglia. Archi e balestre erano impiegati per la difesa a distanza. Ma la difesa non si limitava solo alla battaglia fisica: altri stratagemmi erano comuni. I castelli medievali erano progettati per sopravvivere a lunghi assedi: i pozzi per l’acqua e le scorte di cibo erano fondamentali per resistere a periodi prolungati senza rifornimenti. Alcuni castelli, come Torre Alfina, avevano anche passaggi segreti e camere nascoste, per proteggere la famiglia del signore in caso di attacco.

Vivere nel Castello di Torre Alfina durante il Medioevo significava immergersi in una realtà di fascino e responsabilità. La vita nel castello medievale non era fatta solo di feste, banchetti e tornei, ma anche di sacrifici, doveri e quotidianità. Oggi, visitando questa magnifica fortezza nella Tuscia Viterbese, possiamo rivivere le storie di coloro che vi abitarono e apprezzare l’eredità culturale che ci hanno lasciato.

 

Statua Moai Vitorchiano

Statua Moai Vitorchiano: Storia e Curiosità

A pochi chilometri da Viterbo sorge Vitorchiano, lo splendido borgo della Tuscia sospeso sulle rocce vulcaniche. E qui si trova l’unica statua Moai al mondo, al di fuori dell’Isola di Pasqua.
Indice degli argomenti:
  1. Cos’è un borgo sospeso
  2. Cos’è il Moai di Vitorchiano
  3. Come è fatto un Moai
  4. Dove si trova il Moai italiano

A soli quindici minuti d’auto da Viterbo, sorge Vitorchiano, antico borgo e gioiello storico incastonato tra le rocce vulcaniche della Tuscia. Considerato uno dei centri storici più suggestivi della provincia di Viterbo, gode anche del prestigioso riconoscimento di uno dei “borghi più belli d’Italia“. E qui troviamo anche l’unico originale monolite Moai al mondo, al di fuori dell’Isola di Pasqua (o Rapa Nui).

Cosa significa Borgo Sospeso

L’integrità del suo nucleo antico, le abitazioni che sembrano fondersi armoniosamente con le scogliere di peperino su cui sono erette, conferiscono a Vitorchiano il suo appellativo distintivo: il Borgo Sospeso. L’origine di questa denominazione risiede nella geologia unica della zona. I depositi di materiali vulcanici, modellati nel corso dei millenni dall’attività dei vulcani, hanno dato vita alle imponenti rupi su cui sorgono i borghi della Tuscia. Tuttavia, ciò che rende Vitorchiano veramente speciale è il suo banco di peperino, fratturato in enormi massi, su cui poggiano direttamente gli edifici del borgo. Questa peculiarità crea un’illusione visiva affascinante, facendo sembrare che il borgo sia stato scolpito nella roccia. Le case, aggrappate e a strapiombo, si fondono con la roccia lavica, creando un’armonia perfetta con la Valle del Vezza e il paesaggio circostante, ricco di boschi di querce, frassini, faggi, olmi e castagni.

Cos’è il Moai di Vitorchiano

E proprio la ricchezza di peperino ha fatto si che Vitorchiano divenisse il luogo perfetto per costruire una gigantesca statua Moai. Le statue Moai sono monoliti antropomorfi scolpiti dalla popolazione polinesiana indigena Rapa Nui (che è anche il nome originario dell’Isola di Pasqua), in gran parte tra il 1100 e il 1500. Si tratta di veri e propri giganti di pietra alti fino a 21 metri, probabilmente monoliti augurali portatori di benessere e prosperità dove volgono lo sguardo. Il Moai di Vitorchiano venne realizzato nel 1990 dalla famiglia Atan, originaria di Rapa Nui e composta da 19 persone. L’occasione della costruzione del monolite di Vitorchiano fu la trasmissione televisiva RAI “Alla Ricerca dell’Arca” del giornalista Mino D’Amato. Intenzionato a promuovere il restauro dei Moai dell’Isola di Pasqua, il giornalista cercava in Italia una pietra che si avvicinasse il più possibile alla pietra vulcanica con cui furono realizzati i giganti di Rapa Nui, con la quale realizzare un Moai italiano. Vitorchiano, patria del peperino, fu individuato come luogo ideale dove realizzare l’opera, e la famiglia Atan i giusti artigiani.

Come è fatto il Moai di Vitorchiano

Dopo mesi di lavoro, gli Atan realizzarono un originale Moai lavorando la pietra con le stesse antiche tecniche impiegate sull’Isola di Pasqua per la costruzione dei Maoi originali. Dal punto di vista artistico, il Moai di Vitorchiano è una testimonianza dell’abilità e della maestria degli scultori. Fedele agli originali, la statua presenta solchi profondi, tratti duri, semplici e lineari, e dettagli curati come le orecchie lunghe, l’ombelico sottolineato e le mani affusolate aderenti al ventre. Ancora oggi il Moai di Vitorchiano rappresenta l’unica scultura Moai in pietra di dimensioni originali, presente al di fuori dell’Isola di Pasqua.

Dove si trova il Moai di Vitorchiano

La statua del Moai ha attraversato diverse collocazioni nel corso degli anni. Dapprima situata al centro del piazzale Umberto I, nel 2007 fu temporaneamente trasferita in Sardegna per essere esposta in una mostra di arte precolombiana. Tornata a Vitorchiano dopo nove mesi, la statua trovò la sua definitiva collocazione su Largo Padre Ettore Salimbeni, nell’area camper del comune che si affaccia sul suggestivo belvedere del “Borgo Sospeso“.

Il Moai di Vitorchiano, con la sua presenza imponente e la sua storia affascinante, si erge come un’icona di uno dei borghi più belli d’Italia, rappresentando un legame unico tra la storia millenaria dell’Isola di Pasqua e la bellezza intramontabile di Vitorchiano, il borgo sospeso della Tuscia.

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